Il kintsugi come metafora del processo di riparazione in psicoterapia
di Enrico Tuninetti
Il kintsugi (金継ぎ), letteralmente ‘riparare con l’oro’, è un’antica pratica giapponese che consiste nell’utilizzo di oro (liquido, lacca o polvere) per la riparazione di oggetti in ceramica (in genere vasellame), usando il prezioso metallo per saldare insieme i frammenti. Ogni ceramica riparata presenta un diverso intreccio di linee dorate, unico ed irripetibile per via della casualità con cui la ceramica può frantumarsi. La pratica nasce dall’idea che dall’imperfezione e da una ferita possa sorgere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore. Il kintsugi si rifà alla dottrina buddista della transitorietà ed impermanenza di tutte le cose. La riparazione conferisce quindi all’oggetto la possibilità di evocare dentro di noi una sensazione di serena malinconia e un ardore spirituale. Il kintsugi è una tecnica di riparazione molto particolare perché, anziché nascondere le linee di frattura dell’oggetto con un incollaggio perfetto e coprente, rimarca le stesse linee in modo da sottolineare il motivo frastagliato della lesione, trasformando così l’oggetto in una nuova opera, che non snatura la forma precedente, ma regala all’oggetto cicatrici luminose. La vita è integrità e rottura insieme. Il vaso rotto ora ha una storia. Il solco lasciato dalla frattura viene valorizzato. L’oggetto conserva i segni dell’evento dentro di sé: l’urto e l’incidente sono riflessi dal motivo discontinuo della cicatrice dorata, a testimonianza del fatto che l’oggetto, grazie all’intervento artistico, è sopravvissuto, ha una memoria. Il kintsugi indica quindi che ogni storia, anche la più travagliata, è fonte di bellezza e che ogni cicatrice è la cosa più preziosa che abbiamo. Vediamo quindi nell’oggetto distruzione magica (l’incidente) e creazione magica (la riparazione creativa). Se la riparazione è alla base della creatività, ogni attività creativa è quindi riparativa, volta cioè a ristabilire un’armonia, ripristinare un’integrità, riscattare la funzionalità di un oggetto sia esterno sia interno. Il kintsugi infatti può anche essere utilizzato come la metafora di una psicoterapia che concepisce la personalità come qualcosa di mobile e soggettivamente ricombinabile, a partire dalla caduta. In tal senso la psicoterapia può essere intesa come lavoro di ri-significazione, articolazione delle parti col tutto, trasformazione creativa dell’energia psichica, confronto con la perdita e accettazione del cambiamento. L’energia di un urto della vita, come nel kintsugi, viene quindi trasformata attraverso un movimento interno riparativo delle parti di sé danneggiate o scisse e delle esperienze di danneggiamento, al fine di renderle comunicabili nell’incontro con l’altro. Sostenere la speranza nei processi riparativi degli oggetti interni rotti, oggetti ‘che si sono fatti male’, ha a che fare con la pre-occupazione di noi stessi in quanto contenitori. La riparazione, in psicoanalisi, è un meccanismo con cui il soggetto cerca di riparare gli effetti delle sue fantasie distruttive sull’oggetto d’amore. L’identificazione con l’oggetto leso spinge alla riparazione attraverso la trasformazione delle energie distruttive. Fare coesistere le parti buone con quelle cattive nella riparazione equivale a tollerare l’ambivalenza e a ristabilire una relazione positiva con l’oggetto intero, da non confondere con l’espiazione. Espiare significa infatti punirsi, e ci si punisce tanto più quanto più si crede valga l’oggetto d’amore danneggiato. L’espiazione è un auto-attacco, una rinuncia a se stessi, una riparazione disfunzionale, come accade per i rituali ossessivi, nei quali si osserva annullamento senza creatività. La vera riparazione richiede invece amore e rispetto per l’oggetto, che diventa così il simbolo di una transizione tra il proprio mondo interno e quello esterno.
Articolo a cura di Enrico Tuninetti, la riproduzione parziale o totale dello stesso è autorizzata citando l’autore medesimo.
– KLEIN, M. (1937) “Amore, colpa e riparazione”. In: Klein, M., Rivière, J. “Amore, odio e riparazione”. Astrolabio, Roma, 1969.