La società che mortifica i giovani è votata al declino. Intervista a Gustavo Pietropolli Charmet
“Bisognerebbe che i genitori costruissero intorno alla mente dei propri figli un baluardo per evitare che arrivino, con troppa capacità di penetrazione, alcune profezie nerissime che la sottocultura nella nostra società sta preparando. Per esempio, che questa sarà la prima generazione che avrà un futuro peggiore dei propri padri e dei propri nonni.” Gustavo Pietropolli Charmet
“Non ci sono più i giovani di una volta”. “Ci dispiace molto per voi ma non avrete le opportunità che abbiamo avuto noi”. Quante volte hai sentito queste frasi. Forse ti è capitato anche di pronunciarle. La crisi, anzi, la retorica della crisi può fare molto male alle giovani generazioni, perché le priva della capacità di immaginare (prima) e realizzare (poi) il proprio futuro. Le difficoltà attuali sono oggettive, ma lo sono anche le vie d’uscita. Per trovarle c’è bisogno di energia e forza creativa… e i giovani ne sono pieni. Una società che li mortifica è, dunque, una società votata al declino.
Ma come possono difendersi i giovani dai ladri di futuro? E cosa dovrebbero fare gli adulti (genitori ed educatori in primis) per essereguide responsabili, in grado di traghettare le giovani generazioni verso un legittimo futuro?
Questa era la premessa e io sono andata a sentire il resto, il 25 gennaio nella quinta tappa del viaggio di Segnavie (per saperne di più clicca qui), direttamente da Gustavo Pietropolli Charmet, noto psichiatra e saggista, esperto conoscitore del mondo giovanile. L’appuntamento era aperto alla cittadinanza e si diceva che si sarebbe riflettuto sul rapporto complesso che lega adulti e nuove generazioni e sulle strategie che i giovani possono adottare per riappropriarsi attivamente e legittimamente del proprio futuro.
Pubblico: qualche giovane, la maggior parte 40/50enni, poi a salire.
Il dott. Pietropolli Charmet non ha alcun intervistatore, la sua è una lezione e parte con una domanda: chi fa futuro nella strada di un cucciolo?
La prima è senz’altro la mamma. Una mamma diversa che in passato, il suo sguardo non è più quello di un tempo, non vede più il cucciolo come soggetto bisognoso, lo scruta e indaga invece in lui alla ricerca delle sue capacità, delle competenze innate. Insomma è convinta che il suo compito sia capire che tipo di bambino le è capitato e aiutarlo ad esprimere le suo potenzialità. Crede inoltre che se lei lo aiuterà, il bambino aiuterà lei ad avere/ottenere caratteristiche materne, ad affrontare il compito di madre. Punta anche all’autonomia del cucciolo, in modo che esso se la sappia cavare presto. Tale tendenza sembra in contrasto con i numeri che vogliono il 60/62% dei maschi ultratrentenni che ancora vivono con mammà. Non essendo questo il sogno della madre, è evidente che sono altri fattori a “costringere” il giovane maschio a casa coi genitori. L’unico vantaggio sembra essere quello di un miglioramento della qualità della relazione tra mamma e figlio.
Chi altro fa futuro? Il papà, che senz’altro condivide la visione di mamma.
Ciò che conta comunque è la qualità della relazione perchè valorizza il sè del bambino.
Pietropolli Charmet ci chiede di pensare ai bambini di quarta o quinta elementare che sono già delle piccole donne e dei piccoli uomini: essi si avventano sul futuro, alla ricerca di riconoscimento, di popolarità, successo e bellezza. Pare sia perchè i genitori, e altre figure familiari, sono troppo al servizio del cucciolo spingendolo a diventare precocemente adulto, consumatore. E si innesca un nuovo meccanismo per cui i bambini non si sentono più in colpa e non hanno più paura dei castighi, dei genitori e degli insegnanti e alla fine pagano un conto salato. Tendono infatti ad avere delle elevate aspettative, di riconoscimento e popolarità, diventando crudeli con se stessi se non raggiungono l’obiettivo, provando quindi vergogna e mortificazione, peggio del senso di colpa.
Oggi i bambini e gli adolescenti soffrono di vergogna che riguarda il sè. Hanno paura di non essere belli, quindi non si sentono all’altezza delle aspettative e danno la colpa al loro corpo, cercando poi di cambiarlo. Pensano di non avere futuro, che il progetto che si aspettavano non si realizzerà, puniscono il corpo, lo attaccano.
Pensano di non avere futuro e quindi vivono il presente, non impegnandosi in niente perchè per loro non c’è futuro, vivono nel tunnel che si chiama eterno presente. Perdono la capacità di rimanere in contatto con il loro futuro. Perdono le speranze e per loro è un lutto. Ringraziamo di ciò anche la sottocultura propinata dai mass-media che danno previsioni catastrofiche, che impongono modelli assurdi e spesso irraggiungibili, che dimostrano che la gerontocrazia al potere ha rubato loro il futuro.
Rispondendo alle domande, il dott. Pietropolli Charmet parla dell’anoressia come di un problema recente che è una dispercezione del proprio corpo. Le persone che ne soffrono non danno da mangiare al corpo pensando che questo lo tolga alla mente, quindi scelgono di alimentare la mente, ma non il corpo che deve invece somigliare ai canoni imposti dai mass-media sottoculturali.
Suscita un momento di ilarità quando invece chiede chi non si è mai fumato uno spinello/una canna da giovane. Io non rido, sarò sempre la solita bacchettona, ma io non l’ho fatto, comunque pare che in sala ci siano dei bene informati
E’ per portarci l’esempio di un ragazzino, uno dei pochi che è riuscito a trovare, che ha rifiutato lo spinello quando gliel’hanno offerto. Alla domanda perchè l’avesse fatto, il ragazzino ha raccontato che quando è stato sul punto di uscire di casa il padre gli ha fatto un cenno delle testa come per dire “ci siamo capiti vero?” e il ragazzino ha annuito. Sebbene il padre non avesse detto esplicitamente “comportati bene, non fumare spinelli o altro”, il figlio nel momento in cui lo spinello gli è stato offerto ha pensato che era bello stare al patto col padre. Insomma non ha rifiutato perchè intimorito dal castigo, ma per condivisione di affetti, per la presenza del padre.
Un’altra domanda lo porta a dire che i centri commerciali oggi sono dei centri di aggregazione a temperatura costante con merci in bella vista. Bisogna invece dare delle alternative ai giovani, facendo credere che queste alternative le abbiano “inventate” loro, che sia espressione della loro fantasia e creatività. Bisogna cooptarli in un esercito di volontariato.